Capricci e crisi di pianto
I "terribili due anni", o "terrible twos" in inglese, sono una fase di crescita del tutto normale, rientrano, infatti, tra le tappe evolutive obbligate
che conducono all'indipendenza, e coincidono con un'importante presa di coscienza del bambino, ovvero egli scopre di essere un individuo separato dalla madre
e di avere una personalità e desideri propri.
Sono quel periodo dei NO che i bambini attraversano tra i 18 mesi e i 3 anni,
in cui diventano testardi e capricciosi, manifestano spesso crisi e pianti inconsolabili, che noi genitori tendiamo a volte a leggere come "lotte di potere",
ma che in realtà sono solo l'espressione del passaggio evolutivo che stanno compiendo.
Essa rappresenta la prima importantissima fase di distacco dal caregiver, ovvero dalla figura che finora si è presa cura del bambino e con la quale egli
ha stabilito una relazione di attaccamento.
Perché succede?
Di fatto, i NO rappresentano l'unico strumento a sua disposizione per affermare che è una persona diversa da mamma o papà – non stupiamoci, quindi, se ne farà un uso esagerato! -,
per provare la sua libertà e per dimostrare la sua autonomia, entrambe appena scoperte.
Attraverso loro, il bambino sta affermando il suo desiderio di indipendenza: intorno ai due anni, egli inizia ad affermare la propria personalità;
lui stesso è però incerto del suo nuovo modo di essere e di vivere le emozioni, pertanto tende a ritorna al nido e alla relazione esclusiva per riconquistare
sicurezza nella esplorazione del mondo e di se stesso.
Per questi motivi i NO racchiudono e simboleggiano anche le paure e le insicurezze, il fatto avventurarsi in un mondo sconosciuto, lo fa oscillare tra il desiderio fortissimo
di esplorare e la paura di non sapere quello che troverà, quindi attraverso loro egli esprime entrambi questi vissuti, 
"sto crescendo, voglio fare da solo" e "ho ancora bisogno della tua guida e della tua vicinanza".
Inoltre, molto spesso i bambini a quest'età non capiscono ancora cosa desiderano o non sanno esprimere i loro bisogni, tendono ad agirli anziché verbalizzarli,
di conseguenza quando non sono compresi, si stizziscono e si arrabbiano.
Le reazioni esagerate e i capricci che caratterizzano i terribili due anni, non hanno quindi lo scopo di far arrabbiare noi genitori:
il bambino sta scoprendo solo ora che non tutto procede come desidera e, giustamente, ciò produce in lui delle emozioni che ancora fatica a controllare.
Questa fase è come un'importante palestra in cui si allena per imparare a gestire la frustrazione e controllare la rabbia, impiegherà quindi del tempo per imparare a padroneggiarle,
in questo dobbiamo mostrarci pazienti e non avere fretta.
Talvolta noi genitori non sappiamo come comportarsi nei confronti del bambino che passa attraverso i "terribili due anni" e, di conseguenza,
alcuni di noi assumono atteggiamenti troppo rigidi, altri ripongono eccessive attese nei confronti del comportamento del bambino.
Che cosa fare per "sopravvivere" ai terribili due anni?
Per sopravvivere a questa fase, importante certo per la crescita del bambino, ma faticosa per noi genitori, è necessario conoscere cosa sta realmente accadendo
a nostro figlio e seguire alcune indicazioni pratiche.
* Dare poche e chiare regole
Non possiamo sommergere nostro figlio di divieti, altrimenti lo confondiamo.
Se tutto ciò che fa, è seguito da un NO, nessuno di questi sarà importante, non imparerà a distinguere ciò che è davvero imprescindibile da ciò che è meno rilevante.
Inoltre, se il bambino è continuamente bloccato o limitato, si sentirà frustrato e tenderà o ad aderire per obbligo ma senza introiettare la regola, o a disapprovarla con comportamenti oppositivi.
è preferibile quindi selezionare1 solo poche cose che non può fare, quelle davvero essenziali, e mantenerle sempre anche quando si creano dei conflitti.
Su queste, va, infatti, detto un NO fermo, deciso, asciutto. In quest'ambito rientrano anche le regole che riguardano la sicurezza (giocare con le prese elettriche, viaggiare in auto sul seggiolino, non arrampicarsi) e quelle relative agli impegni della giornata (andare al nido, fare il bagnetto, andare a nanna).
Negli altri casi, quando dobbiamo rispondere negativamente ad una sua richiesta, possiamo usare affermazioni del tipo "mi dispiace, ma non è possibile",
fornendo anche un perché, che sia ovviamente legato al grado di comprensione di quest'età.
* Parlare di emozioni
Spesso un NO è la manifestazione dell'incapacità di comunicare sensazioni e vissuti. Un bambino di due anni, infatti, non ha ancora imparato ad esprimere a parole le proprie emozioni. Per questo, noi genitori dovremmo fungere da "cassa di risonanza" e tradurre ciò che nostro figlio non è in grado di comunicare, dando un nome ad esempio alla rabbia, alla paura, alla delusione. In questo modo, imparerà a riconoscerle e, gradualmente, anche a gestirle.
Inoltre, il bambino non solo ha bisogno di comprendere il proprio mondo interiore, ma anche di sapere che i suoi comportamenti hanno un impatto emotivo sugli altri. Nel fare questo, è importante disapprovare i suoi comportamenti e non lui, evitiamo quindi di dire a nostro figlio "sei cattivo!", ancora meglio cerchiamo di incoraggiare i comportamenti positivi, piuttosto che ammonire  o punire.
Infine, se si comporta male, è opportuno insegnarli il valore del chiedere "scusa". Se non riesce a parole, può farlo anche con un abbraccio, un bacino, una stretta di mano, una carezza, tutti gesti che molto spesso sciolgono la tensione accumulata e lo fanno sentire compreso e rassicurato.
* Fornire due alternative
I bambini devono imparare a scegliere, per questo motivo è importante offrire loro sempre due alternative valideper noi genitori, ad esempio "vuoi fare il bagno o preferisci la doccia?", così facendo eviteremo i continui NO e stimoleremo la presa di decisione autonome e la cooperazione.
* Lasciare tempo e spazio per esplorare e crescere
Continuare a bloccare la sua esplorazione per il mondo o le sue attività con continui divieti, avrà come unico effetto quello di innervosire nostro figlio e aumentare la sua frustrazione. Nei limiti della sua sicurezza, lasciamolo invece libero di sperimentare, cercando anche di non riporre troppe aspettative nei suoi confronti.
Come diceva Maria Montessori, riferendosi al ruolo dell'insegnante, è importante che l'adulto
guidi il bambino, senza lasciargli sentire troppo la sua presenza, così che possa sempre essere pronto a fornire l'aiuto desiderato, ma senza mai essere l'ostacolo tra il bambino e la sua esperienza.
Solo se si sentirà libero di scegliere, farà le cose giuste al momento giusto, si muoverà, parlerà, socializzerà quando si sentirà pronto per farlo. Il nostro compito è quello di creare le condizioni più stimolanti, di prenderci cura di lui, di accompagnandolo nel processo di crescita, dando il tempo necessario per esplorare, per capire, senza sosta.
Dormire nel lettone
Dormire nel lettone è il sogno di quasi tutti i bambini, in quanto vedono in questo fatto la possibilità di stare vicino ai genitori e soprattutto una situazione di gran consolazione, che impedisce l'ansia di separazione nel momento più delicato, quello dell'addormentamento.
Il problema del lettone è ovviamente più sentito nella nostra società dove si hanno abitazioni che prevedono stanze separate tra genitori e figli, per godere di più indipendenza e intimità da parte dei genitori.
In molte famiglie, specie in popolazioni più povere della nostra e in situazioni di numero elevato di figli, la promiscuità durante la notte è la regola e spesso tutti i componenti della famiglia si ritrovano a dormire, fianco a fianco, nella stessa stanza.
Ci sono poi alcuni studi che dimostrano un minor rischio per la morte in culla in quei bambini sotto l'anno che dormono nella stessa stanza dei genitori, ma non obbligatoriamente nello stesso letto. Di fatto dormire nel lettone non è nocivo per voi o per il vostro bambino, però non è neppure necessario; potrebbe invece diventare negativo per la vostra vita di coppia e per il vostro sonno: se il bambino dorme nel vostro letto e anche voi dormite, pazienza, ma se piange e sbraita e voi non dormite, non passerete momenti felici o gratificanti.
E poi, ricordate: concedere questa abitudine al piccolo è molto semplice e facile, ma quando l'abitudine è radicata, toglierla richiede un impegno e una fatica a volte frustranti. Diversi studi hanno dimostrato che più del 50 % dei bambini che dormono nel lettone sono afflitti da problemi di relazione e di ansia per cui ritardano a prender sonno (mediamente ci vogliono 30 minuti per far addormentare il bambino) e si risvegliano spesso durante la notte, perché il sonno non è regolare.
Sappiate comunque che il vostro bambino non necessita di questo sistema per essere sicuro e felice: i timori e le insicurezze dei piccoli possono essere soddisfatti durante il giorno. Dormire nel lettone non risolve alla lunga i problemi del sonno del bambino: se voi non farete nulla, sarà a un certo punto vostro figlio a decidere da solo, si troverà male nel lettone e vorrà andare a dormire nella sua stanza e nel suo letto.
Come prevenire l'abitudine a dormire nel lettone?
* già dai primi mesi abituatevi a mettere in culla il vostro piccolo quando si vede che ha sonno, ma da sveglio: si abituerà a addormentarsi da solo e, se si risveglierà durante la notte, cercate di fargli riprendere il sonno da solo: intervenite solo se si sveglia completamente
* se mangia ancora di notte, evitate di svegliarlo completamente, accendendo le luci della stanza e parlando ad alta voce: il piccolo deve sentire intorno l'atmosfera della notte, del silenzio
* abituate il piccolo alla sua cameretta già dai 5-6 mesi: quando diventa troppo lungo per dormire nella carrozzella o in culla, è il momento buono per trasferirlo nel nuovo lettino in una stanza diversa dalla vostra. Mantenete la solita regola: non toglietelo dal lettino durante la notte al primo vagito e dopo i due anni impedite che lasci la sua cameretta; la maggior parte dei bambini è in grado di obbedire a queste regole e sta bene.
Come smetterla con l'abitudine del lettone?
Se il bambino è già abituato a dormire nel vostro letto e volete cambiare, seguite questi suggerimenti:
* comunicate al bambino la nuova regola: "sei troppo grande per dormire ancora con noi, tu hai il tuo letto, noi il nostro: da stanotte vogliamo che tu stia a dormire nel tuo letto". "se vuoi possiamo lasciare la porta della tua stanza aperta così non ti sentirai isolato e saprai che mamma e papà ti sentiranno se ne hai bisogno"
* se il bambino lascia la sua stanza, riportatelo immediatamente di nuovo in camera sua; se lo fa di nuovo, accostate la porta della cameretta finché non è rientrato nel suo letto
* se si intrufola nottetempo nel lettone, ordinategli di tornare in camera, usando un tono deciso; se non si muove, prendetelo di peso e riportatelo nel suo letto senza discutere troppo
* aspettatevi qualche pianto: le prime notti vostro figlio si dispererà e piangerà a lungo per ottenere il privilegio perduto: sta a voi farvi vedere risoluti e decisi. La cosa più deleteria è quella di cedere dopo qualche decina di minuti davanti alle sue insistenze. Tanto vale allora rimandare ad un altro periodo, più avanti, la decisione di svezzarlo dal lettone. Se però tenete duro, sappiate che in capo a pochi giorni il bambino, anche contro voglia, si abituerà alle nuove regole ti accompagnerà per tutta la gravidanza, settimana dopo settimana.
Il paese degli orologi
C'era una volta, tanti e tanti anni fa, un regno un po' bizzarro dove tutto era scandito dagli orologi.
A una certa ora si faceva una cosa o un'altra o un'altra ancora e poi, subito dopo, ancora un'altra e così via per tutta la giornata, a ogni ora corrispondeva sempre qualcosa.
Ma il fatto più strano era che per quanto tutte le ore del giorno fossero riempite di cose da fare, sembrava che non bastassero mai, ci sarebbero volute anche quelle della notte
per fare tutto quello che si doveva e forse non sarebbero bastate neppure quelle.
E così' tutti gli abitanti di quel paese circolavano vestiti da orologi per essere ben sicuri di non dimenticare l'ora esatta.
Il re, che era il più importante in assoluto, circolava vestito da torre campanaria, i ministri circolavano vestiti da pendoli, gli scienziati avevano degli strani oggetti
che chiamavano radiosveglia e che erano state trovate dagli archeologi durante gli scavi di una civiltà ormai estinta insieme a tanti orologini di plastica
colorata che formavano intere collezioni.
Insomma, non c'era abitante che in quello strano regno non circolasse non solo munito di tre orologi a testa, ma perfino vestito come uno di loro.
Gli unici che vivevano felici senza essere condizionati dal tempo (o solo in parte) erano invece i bambini; per loro, quando erano proprio piccoli, al massimo esistevano il mattino,
il pomeriggio, la sera e la nottte e tutte queste parti, tranne la notte, erano dedicate a giocare, che era il loro modo preferito di imparare ad esplorare il mondo.
E così con i giochi imparavano utto quello che gli era necessario nella vita di tutti i giorni, per esempio a organizzare il loro tempo,
a scoprire le regole per stare con gli altri e il loro modo di adattarvisi, a conoscere il mondo in cui vivevano, a misurare le loro forze in tutte le attività della giornata,
imparavano cioè che c'è un tempo per ogni cosa, quello per il riso, quello per il pianto, quello dell'essere contenti, quello dell'essere arrabbiati e così via.
Scoprivano cioè che tutto ha un inizio, uno sviluppo e una fine, come ogni gioco e che questo avviene naturalmente, per conto proprio, senza seguire il ritmo degli orologi,
ma un ritmo molto più difficile a vedersi, che pure esiste, che è quello della vita e dello scorrere del tempo.
E così passò tanto tempo, finchè in quello strano regno gli orologi diventarono così numerosi e così potenti che una notte, mentre gli altri dormivano,
si riunirono tutti insieme e decisero di fare un colpo di stato e di diventare loro i padroni del paese.
Ma perché la cosa non venisse scoperta dagli abitanti decisero che ognuno di loro avrebbe fatto la sua parte in silenzio, impadronendosi del suo padrone e della sua famiglia.
Fu così che il re diventò lo schiavo della Torre Campanaria, i ministri dei loro pendoli,
gli scienziati delle loro radiosveglia e gli archeologi delle loro collezioni di orologini colorati.
Gli unici che continuavano a vivere felici e indisturbati erano i bambini che invece seguivano il ritmo della vita.
Ma venne il brutto giorno, anzi la brutta notte in cui, durante il GRAN consiglio della Rivoluzione, gli orologi del regno si accorsero di questo e,
non contenti di aver reso schiavi gli adulti di quel paese, decisero che era arrivata l'ora di avere altri sudditi.
Anche per i bambini venne dunque il tempo delle scadenze e a poco a poco anche la loro giorata, che prima era riempita e organizzatala loro,
venne ben presto riempita e organizzata dagli orologi, esattamente come già succedeva per la vita degli adulti i quali, poveretti, avendo anche i loro impegni,
non sapevano proprio come organizzarsi diversamente.
E così a una certa ora c'era una cosa, subito dopo ce ne era un'altra e poi un'altra ancora e dopo questa un'altra ancora, una o due.
E non crediate che fossero cose da poco, erano tutte importanti: il nuoto, la danza, la ginnastica, la lingua straniera, il catechismo, il karatè e così via.
Ogni bambino aveva la giornata organizzata secondo uno schema preciso e rigido a cui non si poteva sottrarre.
E così gli orari, che anche se gli uomini non lo sapevano erano le spie del Servizio Segreto del Gran Consiglio degli Orologi,
si impadronirono a poco a poco della vita dei bambini e dei loro genitori che finirono per aggiungere alle tante scadenze che già avevano anche
quella dell'accompagnamento e del trasferimento dei bambini da un luogo all'altro, e queste scadenze erano così tante che loro stessi,
i loro familiari e i loro amici e benefattori potevano ormai sostenere l'esame per diventare taxista patentati e provetti.
Ma non dovete pensare che tanti sacrifici non avessero i loro vantaggi.
No, tutt'altro.
Ogni bambino in quel paese imparò a nuotare in almeno cinque stili diversi, a danzare nel modo più raffinato, a parlare le lingue più astruse, a fare delle cose molto interessanti
e di gran valore nella vita.
Insomma ogni bambino imparò delle cose molto molto importanti.
Ma siccome neanche il gran Consiglio degli Orologi era riuscito a raddoppiare le ore della giornata,
ecco che per imparare le cose importanti nella vita ai bambini di quel paese non restò più il tempo di imparare le piccole cose banali e normali del quotidiano,
che come si sa, sono quelle che fanno solo il circa il 90% del vivere.
E fu così che i bambini non ebbero più il tempo vuoto davanti a loro dove poter mettere i loro giochi o i loro pensieri, per imparare a organizzarsi da soli,
a scoprire le proprie risorse e il proprio modo di adattarsi al mondo e alle regole per stare con gli altri.
E così come ogni giorno nelle foreste addomesticate c'era qualche pianta o qualche fiore che non trovava più il suo posto, nello stesso modo, ogni giorno,
c'era fra i bambini qualcuno che non si ritrovava proprio in tutta quell'organizzazione, come neppure un adulto si ritroverebbe in un abito molto più piccolo della sua taglia.
E come per le piante e i fiori, senza più il loro posto giusto e speciale, finivano per morire, mentre sopravvivevano quelle che si adattavano a essere più o meno simili e prodotte
in serie, così fra i bambini cominciarono a esserci quelli che sii adattavano a non avere più il tempo dei giochi, ma diventavano un po' tutti uguali,
seri ed efficienti e senza più il tempo per il riso, come dei piccoli adulti in miniatura.
Altri invece non si adattavano a rinunciarci,ma erano sempre scontenti, tristi e insoddisfatti, come degli uccellini a cui vengono tarpate le ali,
cosicché non possono più imparare a volare.
Non solo, ma nelle piccole cose della vita quotidiana erano spesso imbranati, non sapevano mai come cavarsela ed esattamente come erano stati abituati ad avere
sempre degli orari che venivano dal mondo di fuori che si aspettavano che arrivasse anche la soluzione dei problemi.
Il fatto era che non avendo potuto sperimentare con i loro giochi le risorse dentro di loro, non solo non le potevano usare, ma non immaginavano nemmeno di poterle avere.
Ma gli adulti anche se si sforzavano non riuscivano a capire perché questo succedesse e così si sentivano anche loro spesso scontenti e insoddisfatti,
nonostante i loro sforzi da taxista patentati.
E allora i bambini oltre che imbranati e insoddisfatti, si sentivano anche non capiti proprio dalle persone che invece li amavano di più in assoluto e a cui
anche loro volevano più bene che a tutti, e questo era proprio un bel dispiacere.
Insomma, la Rivoluzione degli Orologi aveva combinato proprio un bel pasticcio agli abitanti di quel paese.
Finchè un bambino che si rifugiava sempre sulle nuvole per consolarsi, sognò il Tempo dei Giochi senza Orario che ormai si era perso e scoprì che il Gran Consiglio rivoluzionario
l'aveva incatenato e imprigionato in un posto segreto che nessuno conosceva.
Il giorno dopo il bambino lo raccontò piano piano ai suoi amici durante l'ora di giapponese; ognuno di loro lo ripetè in gran segreto ai suoi amici di danza,
questi a quelli di karatè e così via finchè tutti i bambini seppero che il Tempo dei Giochi non era morto, ma semplicemente tenuto incatenato in prigione dagli orologi.
E fu allora che i bambini decisero di organizzare la loro riscossa.
Fecero un piano astutissimo e decisero di imprigionare la Torre Campanaria che era l'orologio più importante del regno e di tenerla come ostaggio per riavere il Tempo dei Giochi.
Si misero d'accordo con il vento che era loro alleato e una notte di maestrale terribile ecco che la Torre Campanaria fu sollevata di peso e trasportata lontano lontano,
in un posto che nessuno conosceva nella lontana Terra dei Venti.
Il giorno dopo gli orologi si guardarono sgomenti: come avrebbero potuto sopravvivere senza la Torre Campanaria che era quella che segnava l'ora esatta su cui tutti gli altri
orologi dovevano regolarsi?
Andarono in giro disperati alla sua ricerca, ma non ci fu niente da fare: della Torre Campanaria si era persa ogni traccia.
E così passarono vari giorni e settimane e il Gran Consiglio degli Orologi non sapeva più cosa fare.
Finchè una notte scoprì un biglietto fra la posta che diceva:
"Se volete la vostra Torre Campanaria, ridateci il nostro Tempo dei Giochi!"
Anche se a malincuore, gli orologi dovettero cedere perché i bambini avevano per alleati il sole, il vento, il giorno e la notte, la vita insomma che era molto, molto, molto più
potente di loro.
E fu pure così che i bambini di quel regno tornarono ad avere il Tempo dei Giochi e uno spazio sia interno che esterno per poterlo organizzare da soli e anche gli adulti
si scoprirono molto più contenti di aver ritrovato il tempo di stare con loro in pace senza dover fare sempre i taxisti.
E questo tempo dei giochi, ritrovato, permise poi ai bambini, man mano che crescevano, di imparare a muoversi, ognuno verso le proprie preferenze e ai loro genitori di scoprire,
coltivare e valorizzare le risorse speciali che ogni bambino aveva, sia che amasse il giapponese, oppure il karatè, oppure qualcos'altro ancora.
E fu anche così che in questo modo anche i bambini di quel regno tornarono a fare il loro antico mestiere di bambini che è quello di esplorare il mondo
con i giochi per scoprire a poco a poco tutte le risorse che ognuno ha dentro di sé per imparare a utilizzarle poi, giorno dopo giorno, nella vita quotidiana e nelle piccole
cose banali e normali del vivere che sono poi quelle che fanno la stragrande maggioranza del tempo della vita per ognuno di noi.
E la testa e il cuore di tutti tornarono a riempirsi di pensieri, di idee, di emozioni, di canti che erano liberi di circolare là dove una volta
non riuscivano nemmeno ad entrare perché tutto lo spazio a disposizione era stato invaso e riempito dalle Tabelle degli Orari.
Il principino signor no
C'era una volta un principino che viveva nel regno dell'Autorità:
tutto viaggiava secondo i canoni che aveva stabilito il Re di quel paese e la sua volontà era sovrana su tutti.
Nessuno la poteva mettere in discussione perché così era stabilito dalla tradizione e questa diceva che il regime di quel paese era sempre stata la monarchia assoluta,
da così tante generazioni che ormai l'origine si perdeva lontana nel tempo.
Ma ogni tanto si sa,anche i popoli si stancano della monarchia assoluta e fanno quel che possono per liberarsene.
E così il nostro principino cominciò a sbuffare ogni volta che il suo papà gli voleva imporre le sue idee, anche quando erano per il suo stesso bene.
E come da piccolo era stato completamente preso dalla volontà del Re e pendeva dalle sue labbra in tutto e per tutto, allo stesso modo quando cominciò a cescere prese a
ribellarsi e a dirgli sempre di No, in tutto e per tutto, per provare a sé stesso che esisteva anche lui, con le sue idee.
E poiché non riusciva a trovare altri modi per soddisfare questo bisogno importante, il dire No al Re piano piano diventò il suo principale modo di essere e cominciò
ad assorbirgli ogni energia.
"Ha detto che è bianco?"
Si diceva allora.
"Si vede che è nero e devo dimostrarglielo" e si concentrava tutto su questo sforzo, come se fosse la cosa più importante del mondo.
Insomma, tutto quello che gli veniva detto dal Re suo padre a lui suscitava soltanto la voglia di dire No, oppure di fare esattamente il contrario.
"Voglio fare quello che voglio io!" si diceva allora fra sé e ne era proprio convinto.
Ma il nostro principino non sapeva che per poter fare quello che si vuole bisogna anche essere liberi di capire cosa si vuole; cioè bisogna aver sentito i propri
pensieri autonomi crescere giorno dopo giorno dentro di sé, a segnare il proprio territorio con i suoi confini.
E ognuno di noi deve assolutamente trovare il proprio territorio che lo differenzi dagli altri, altrimenti non riusciamo nemmeno a capire chi siamo.
E allora il nostro principino, per difendere il suo territorio da chi gli voleva imporre troppo spesso la sua volontà senza ascoltarlo, non trovò altro sistema
che dire sempre di No, a tutto e a tutti, esattamente come faceva con il suo papà.
Ma in questo modo i suoi pensieri autonomi continuarono a non crescere e a restare piccoli, perché quello che lui pensava era solo esattamente il contrario di quello
che dicevano il Re oppure gli altri.
E quando anche lui si costruì un regno e ne divenne il Re, ormai dire di no e fare il contrario di quello che gli dicevano gli altri era diventato
il suo principale modo di pensare.
Insomma il nostro povero principino-Re anche da grande viaggiava sempre in coppia con il suo papà, senza nemmeno saperlo, e se lo portava dappertutto, nelle riunioni con i consiglieri,
nelle assemblee popolari, nelle decisioni di palazzo, nei discorsi con la Regina o con i suoi amici e così via.
Ogni volta che sentiva un discorso lo ascoltava mettendo sempre davanti come sentinella il suo bisogno di dire di No e così cercava accuratamente sempre e solo i punti
su cui non era d'accordo.
E siccome era anche molto intelligente, diceva spesso delle cose davvero interessanti, mettendo in crisi gli altri sui loro pensieri, ma senza accorgersi di
questo suo strano meccanismo.
In questo modo, però la creatività che anche lui aveva, come tutti, nel suo giardino, venne completamente mortificata e relegata in un angolo oscuro e senza sole,
dove non cadeva mai la pioggia a darle vita e vigore, perché tutte le energie più importanti erano impegnate sul fronte del No e non ne restavano più a disposizione per altre risorse.
E così a poco a poco la gente di quel regno cominciò a stancarsi di parlare con lui perché tanto sapeva che il nostro principino ormai Re, qualsiasi idea si discutesse,
l'avrebbe contestata dicendo di No.
E questo è un gioco che alla fine non diverte più nessuno, perché tanto si sa già in partenza come andrà a finire.
E allora col tempo, il nostro principino-Re cominciò ad essere lasciato sempre più solo e isolato dagli altri, che per sopravvivere fingevano di ascoltarlo e
poi facevano quello che volevano loro, senza tener conto delle sue parole.
Passò così del tempo e il nostro principino-Re ormai grande ebbe dei figli che cominciarono a crescere finchè iniziarono, come tutti i cuccioli che crescono, a dire di No anche loro.
Il nostro principino-Re agli inizi fu molto contrariato, ma poi pensò che anche questi No sarebbero passati, senza rendersi conto che invece i suoi continuavano a durare,
a cavallo degli anni.
Ma quando si accorse ben presto che non solo non passavano, ma diventavano sempre più forti e decisi con l'andare del tempo e lui non ci poteva far niente, proprio niente,
fu preso da una grande rabbia per l'impotenza che sentiva.
E fu così che il nostro principino-ormai-Re cadde proprio in crisi sui No per la prima volta nella sua vita e, non sapendo più assolutamente cosa fare, si ritirò in un bosco
per un po' di tempo a fare l'eremita.
E un giorno che osservava degli uccelli che imparavano a volare imitando i loro genitori e poi dei cerbiatti che imparavano a camminare imitando anche loro i genitori,
come è sempre successo da che mondo è mondo, per la prima volta nella sua vita si chiese come e da chi i suoi figli avessero imparato a dire sempre e soltanto di No.
"
Ma questo è quello che succedeva sempre a me col mio papà si disse un giorno sorpreso e stupito.
"Mi serviva per difendere il mio territorio dalla paura di essere invaso"
E fu così che, riflettendoci, si rese conto che gli capitava ancora costantemente, anche se spesso e volentieri gli si ritorceva contro e lo danneggiava nei suoi rapporti con gli altri.
Insoma il nostro povero principino-Re, per merito dei suoi figli, vide per la prima volta la prigione in cui era vissuto per tutta la vita.
E anche se sul portone di ingresso stava scritto "Casa delle libertà", si rese conto che in realtà tutte le sue finestre avevano delle inferriate invalicabili da cui
era proprio impossibile scappare.
E in questa sua casa-prigione lui aveva continuato a portarsi dietro il suo papà per dirgli sempre di No, anche quando ormai non c'era più,
come fa un bambino piccolo piccolo che senza di lui non può stare.
"Ma io invece sono ormai grande e so fare tante cose, anche importanti, da solo e soltanto da solo" si disse infine un giorno, quando proprio non ce la fece più.
E fu così che il nostro principino-ormai-Re tornò a casa e si armò di una buona dose di pazienza per cominciare a togliere l'inferriata di qualche finestra.
Ci vollero molto tempo, molta costanza e anche molta convinzione, ma con l'andare del tempo, a poco a poco, il nostro principino-ormai-Re liberò qualche piccola
finestra e quando questo successe gli capitò di continuare ad aver bisogno di No, ma molto meno di prima.
E così gli altri cominciarono ad annoiarsi e a spazientirsi un po' meno con lui perché sentivano che anche i loro pensieri venivano accolti e presi in considerazione,
invece di trovare sempre la finestra sbarrata.
Da allora anche i nuovi principini di quel regno poterono imparare che esistono tanti modi differenti di essere e di pensare nella vita, non solo quello di attaccarsi
spasmodicamente agli altri per dire sempre di no, come si fa con i propri genitori da piccoli, per paura di non sapere chi si è.
E quando si comincia a imparare qualcosa di nuovo nella vita, a poco a poco si riprende a camminare sulla nostra strada e a provare il grande piacere di sentirci davvero
liberi e fedeli solo a noi stessi e al nostro progetto, come ogni piantina che nasce da un buon seme riscaldata e illuminata dal calore del sole.
Il principino che distruggeva i castelli
C'era una volta, tanto e tanto tempo fa, un piccolo regno dove un giorno nacque una principessina così bella che le fu dato il nome di un fiore, anzi della regina dei fiori, la Rosa.
E man mano che il tempo passava, la principessa crebbe facendo i giochi di tutti gli altri bambini di quel regno, compreso quello di costruire castelli di sabbia sulla riva del mare.
Ma la prime volta che ci provò, il suo castello cadde rovinosamente a terra, perché, come si sa, da che mondo è mondo,
tutti i castelli devono cadere tante volte prima di imparare a stare in piedi.
Ma la principessa Rosa, che invece non lo sapeva, cominciò a pensare di non essere capace di farli e diede ragione al suo papà che le diceva sempre:
"I castelli lasciali costruire ai maschi, non sono cose per le bambine".
E così a poco a poco si convinse di non essere né brava, né intelligente,
né capace di costruire le cose come tutti gli altri bambini, visto che il suo castello non era neanche riuscito a stare in piedi.
E giorno dopo giorno questo pensiero cominciò ad accompagnarla e ogni volta che la paura di non essere capace si impadroniva di lei ecco che davvero la
principessa Rosa non riusciva a fare i giochi che facevano gli altri, né ad imparare le stesse cose che imparavano loro e anche le sue mani cominciavano
a tremare mentre provava a costruire i castelli, cosicché questi alla fine cadevano rovinosamente al suolo.
E allora la principessa Rosa rinunciò a poco a poco a costruire i castelli e si disse:
"Quando sarò grande, però, io troverò qualcuno che mi aiuterà a costruire dei bellissimi castelli, proprio col progetto che ho in mente io!
E allora sì che mi sentirò come gli altri, anzi, persino più brava di loro!"
E così il tempo passò, i fiori sbocciarono e appassirono tante volte sui prati, la neve cadde e si sciolse tante volte sui campi di grano degli uomini,
l'acqua dei fiumi passò tante altre volte sotto i ponti, il vento continuò a modellare le sue statue di roccia e la principessa
Rosa diventò grande e si sposò con il principe azzurro con la segreta speranza di poter avere finalmente qualcuno che
l'aiutasse a costruire il castello che lei aveva in mente, esattamente quello e non un altro.
Ma quello che lei non sapeva era che il principe, invece, i castelli li sapeva sì costruire, ma secondo il progetto che aveva imparato lui quando era piccolo,
che era un po' diverso dal suo.
E invece la principessa Rosa aveva in mente un progetto ben precis di castello, esattamente quello che lei avrebbe voluto costruire quando era bambina,
cosicché non le piacevano per niente i castelli che venivano costruiti secondo altri progetti, neanche quelli del principe azzurro.
E fu così che quando più tardi le nacque un principino a cui fu dato il nome di Castellano, la principessa Rosa si disse:
"Lui sì che saprà costruire dei bellissimi castelli, proprio con lo stesso progetto che gli insegnerò io!
A lui non dovrà capitare di sentirsi incapace e poco intelligente e poco bravo come mi sentivo io quando giocavo con gli altri bambini!"
E fu così che fece di tutto perché il suo bambino potesse crescere contento e felice e perché imparasse il suo progetto per costruire castelli,
senza sapere che invece si possono usare anche dei progetti diversi e che i castelli restano lo stesso in piedi.
E così man mano che i giorni passavano,
anche il nostro principino, come tutti, cominciò ad imparare a poco a poco a fare le cose e fu così che un bel giorno, vedendo che tutti costruivano dei castelli,
decise di provare a costruirne uno anche lui, con la sabbia del giardino.
Ma siccome era proprio la prima volta che ci provava, come sempre succede, il piccolo castello non resse e cascò precipitosamente giù.
Allora il principino, che aveva proprio voglia di imparare, si mise pazientemente a costruirne un altro in un altro modo, ma anche questa volta il suo piccolo castello
cadde rovinosamente al suolo.
Alla terza volta che gli successe, il nostro principino scoppiò a piangere e pianse tutte le sue lacrime perché lui non sapeva che prima
di saper costruire un castello bisogna provarci tante volte e vederlo cadere rovinosamente altrettante volte.
Ma la sua mamma, la principessa Rosa che ora era diventata regina e lo guardava affacciata alla finestra, sentì un gran dolore al cuore e si disse:
"No, non è possibile che anche il castello che ha fatto il mio bambino debba cadere, mentre quelli che fanno gli altri stanno in piedi, esattamente come succedeva a me da piccola!Adesso vado giù io a farglielo!"
E fu così che scese precipitosamente in giardino e gli costruì un bellissimo castello, proprio seguendo il modello che piaceva a lei e questa volta per amore
del suo bambino ci riuscì davvero.
Il principino lo guardò ammirato, battè le mani e disse:
"La mia mamma sì che è brava!Lei sì che sa costruire i castelli!"
E la regina si sentì felice perché aveva finalmente dimostrato che anche lei sapeva costruire i castelli, al contrario di quello che le succedeva quando era piccola,
quando si sentiva incapace e frustrata, un vero fallimento.
E fu così che ogni volta che il principino si metteva a costruire un castello, ecco che arrivava la sua mamma che gli diceva:
"Tu sei ancora troppo piccolo, devi aspettare, non sai ancora costruire i castelli, aspetta che te ne costruisco uno io!"
E gli costruiva un bellissimo castello.
Andò a finire che, senza che nessuno se ne accorgesse, man mano che il tempo passava il principino rinunciò a costruire i castelli, innanzitutto perché c'era la sua mamma
che li costruiva per lui, e poi perché, in ogni caso, belli come quelli che faceva lei, lui proprio non li avrebbe mai saputi fare.
Ma siccome l'unica cosa
che il principino aveva scoperto di saper fare da solo era quella di far cadere i castelli e siccome quando si è piccoli si ha proprio molto bisogno di essere sicuri di
saper fare almeno una cosa da soli, proprio da soli, per capire chi si è, ecco che a poco a poco il principino cominciò a fare l'unica cosa che gli veniva spontanea di fare da solo,
cioè quella di andare in giro per il suo mondo facendo cadere tutti i castelli che incontrava sulla sua strada.
E così il tempo passò, i fiori sbocciarono e appassirono
tante volte sui prati, la neve cadde e si sciolse tante volte sui campi di grano degli uomini, l'acqua dei fiumi passò innumerevoli volte sotto i ponti e il principino
crebbe e diventò grande, ma con un angolo segreto dentro di sé in cui era convinto che lui era uno che i castelli non li avrebbe mai saputi costruire,
al massimo li poteva solo far crollare rovinosamente al suolo.
Finchè arrivò un giorno in cui il principe Castellano era così amareggiato e triste e arrabbiato per le colpe
che tutti gli davano e che lui stesso si dava dentro di sé per non sapere costruire i castelli, che alla fine decise di andarsene e di partire per un lungo viaggio,
per imparare anche lui a costruire qualcosa nella vita.
E fu così che il principe partì una mattina al levarsi del sole e lungo il suo viaggio, giorno dopo giorno, mese dopo mese,
anno dopo anno, incontrò tante persone e cose nuove che lui non conosceva e che non aveva mai sperimentato.
E in questo cammino attraversò con molta paura una foresta popolata di animali feroci, guadò con altrettanta fatica un fiume vorticoso che cercava di travolgerlo e portarlo con sé,
attraversò un mare in tempesta dove rischiò più volte di naufragare ed ecco che alla fine si trovò spossato e stremato sulla cima di una collina dolce, illuminata dal sole.
E lì, a poco a poco, il principe cominciò a costruire un muro, e poi un altro, e poi un altro ancora ed ecco che alla fine tutti i muri messi insieme formarono una costruzione
che non solo era un castello vero e proprio , anche se non del tutto eccezionale, ma che restava anche in piedi.
E allora il principe Castellano si disse tutto contento:
"Ecco , in questo castello, quando sarà finito, io ci verrò a vivere con mia moglie e i miei figli!"
Ma mentre si diceva questo, si rese improvvisamente conto che per la prima volta in vita sua lui aveva davvero costruito un castello e fu così sorpreso e anche così spaventato
dall'idea di non sapere più chi era se non era neanche più uno che distruggeva i castelli e si sentì così schiacciato dal sentirsi improvvisamente diverso da come lui
aveva pensato di essere e anche da tutte le responsabilità che si hanno quando si costruiscono i castelli, che si disse precipitosamente:
"No, io no , non è possibile!Non può essere vero!Io sono uno che che non sa costruire castelli, li sa solo distruggere!"
E così, per paura che crollasse come tutti gli altri, decise di distruggere lui il suo castello, che pure stava in piedi ed era pure solido, anche se non proprio meraviglioso
come quello degli altri e neanche costruito sul progetto che lui aveva sempre avuto in mente.
Ma mentre si accingeva a distruggerlo ecco che un pensiero nuovo gli attraversò la mente:
"Ma questo castello l'ho fatto proprio io, con le mie mani, dopo tanti tentativi.
Non c'è nessuno altro al mondo che l'abbia fatto al posto mio!
E anche se non è così meraviglioso come quelli della mia mamma e di tutti gli altri, è pur sempre un buon castello che sta in piedi e forse un giorno
ci potrò davvero venire a vivere con mia moglie e i miei figli!"E fu così che, a poco a poco, come qualche volta succede, anche il principe castellano ebbe un castello in cui vivere,
costruito proprio da lui, con le sue mani, intorno a un fuoco che riscaldava la sala centrale.
E intorno a questo fuoco arrivarono col tempo i suoi figli e poi i figli dei figli e il regalo più grande che ci trovarono fu quello di scoprire che ognuno nella vita,
prima o poi, può imparare a costruire il proprio castello e a viverci avendone cura, come un buon padrone e non come un ospite, anche se a volte questa può sembrare un'impresa impossibile.
E da allora anche questo fu scritto nel Libro della Vita che si tramandò in quel castello da una generazione all'altra come eredità preziosa, conservata in uno scrigno antico
nella sala del camino centrale.
Storia del cucciolo che voleva annusare il profumo del cielo
Una volta tanti e tanti millenni fa, tutti gli animali, uomini compresi, camminavano a quattro zampe e tutti i loro cuccioli li imitavano per imparare anche loro a insegnarlo a
quelli che li avrebbero seguiti.
In quel modo la loro testa era sempre vicino al terreno e così potevano sentire i profumi che venivano dalla terra, dai fiori, dalle piante e dal vento che si infilava nel bosco,
nelle foreste o sulle dune del mare.
E per millenni la vita era andata avanti così e ogni generazione di cuccioli imparava non solo a camminare, ma anche ad annusare i profumi del suo ambiente,
a distinguere gli uni dagli altri e a chiamare con nomi diversi profumi diversi.
Finchè una primavera, non si sa ben quando, capitò fra i cuccioli degli uomini uno che era curiosissimo di tutto e amava moltissimo i profumi.
E così il cucciolo curioso se ne andava in giro tutto il giorno annusando qua e là e scoprendo profumi sempre diversi.
Finchè un bel giorno, a primavera già inoltrata, gli capitò una volta di annusare il profumo del vento in un giorno in cui lui era particolarmente scherzoso e faceva
il suo gioco preferito.
Chiudeva gli occhi e cominciava a respirare a pieni polmoni i profumi e a riconoscerli a uno a uno, chiamandoli per nome.
Finchè a un certo punto, sollevando in alto la testa, ecco che quel giorno ne avvertì uno che non aveva mai sentito e che era dolcissimo.
Abbassò la testa e non lo sentì più.
Provò a rialzarla e lo sentì per un poco e poi niente.
Allora si mise sulla punta delle sue quattro zampe, alzò la testa più che potè ed eccolo di nuovo il profumo dolce che gli piaceva tanto e che lui non conosceva.
E fu così che il cucciolo curioso cominciò a pensare che quello fosse il profumo del cielo perché veniva dall'alto e per poterlo annusare meglio prima alzò la testa più che potè,
poi a poco a poco si alzò anche lui su due zampe, appoggiandosi a un albero.
E quando fu quasi eretto, così appoggiato, sentì di nuovo in pieno il profumo del cielo, che veniva dall'alto dell'albero.
Così giorno dopo giorno, il cucciolo che amava il profumo del cielo cominciò ad imparare a stare eretto su due zampe, prima con l'aiuto dell'albero e poi da solo
e col tempo anche gli altri lo impararono, sempre per amore del profumo del cielo.
E' da allora che gli uomini camminano su due zampe e che anche i loro cuccioli, dopo un po' che sono nati, imparano a farlo, con la testa eretta verso l'alto.
Ma nessuno sa che il tutto è iniziato quando, tanti e tanti millenni fa, a un cucciolo curioso venne voglia di annusare il profumo del cielo.
Il cucciolo arcobaleno
Arcobaleno era un cucciolo di vari colori, un cagnolino proprio speciale.
Apparteneva a una famiglia che gli voleva molto bene.
Lo avevano preso quando era ancora piccolissimo e, come la maggior parte dei cuccioli, era un birichino e bisognava insegnargli molte cose.
Masticava le scarpe vecchie, si infilava in cerca di cibo nella dispensa e sbatteva per terra le cose con la coda.
I familiari di Arcobaleno non sapevano come fare per istruirlo, così dovettero prima imparare tutto su di lui e sulle sue particolari caratteristiche.
Mese dopo mese provarono di tutto, ma Arcobaleno continuava a fare esattamente quello che voleva.
Continuava a mangiarsi le scarpe, a sbattere tutto per terra e qualche volta non sapeva neppure dove si trovava.
Per esempio credeva di essere in cucina mentre invece era in camera da letto.
Certe volte era proprio confuso.
Certe volte ci sono moltissime cose che confondono.
Ad Arcobaleno piaceva fare un po' di tutto.
Gli piaceva giocare, sotterrare gli ossi e cercarsi altri compagni di gioco.
Aveva l'abitudine di guardare fuori dalla finestra e osservare i giochi degli altri cani e pensava che avrebbe potuto correre fuori e andare da loro.
Dimenticava però una cosa importantissima:che per fare amicizia occorreva del tempo.
Beh, cominciò a mettersi a sedere sul suo scalino in cima al portico e a guardare i giochi degli altri cuccioli.
Li vedeva scorrazzare nei prati, nelle aiuole dei giardini e sui marciapiedi.
Li osservava e aspettava, osservava e aspettava, finchè un giorno un altro cane gli si avvicinò scodinzolando tutto allegro e gli fece segno di unirsi a lui e ai suoi compagni.
Arcobaleno era al colmo della felicità!Finalmente aveva imparato a farsi degli amici.
Ma veniamo ai bambini a cui Arcobaleno apparteneva e che gli volevano bene.
Di notte lo coccolavano e cercavano di tenerlo buono.
Ma, come per la maggior parte dei cuccioli, da principio l'istruzione di Arcobaleno fu proprio un'ardua impresa.
Lui era talmente attivo e indaffarato per l'intera giornata che, giunta la sera, gli era difficilissimo il semplice stare tranquillo.
Un giorno, menter stava correndo qua e là, i suoi padroni lo fecero rientrare e gli dissero che era ormai venuto il tempo di mandarlo a una scuola di addestramento per cani.
Subito dopo, Arcobaleno si trovò nel parco legato a una lunga catena.
Ogni volta che cercava di iniziare una corsa si sentiva fermare da qualcosa.
Non sapeva da cosa, tranne che assomigliava a una tirata o uno strattone, e che lo fermava definitivamente.
Beh, lui cercava di nuovo di mettersi a correre.
Ci riprovava in qua e in là, ma tac!, era di nuovo fermato.
Si guardò intorno incuriosito per vedere di dove veniva quell'alt.
Capiva che c'era qualcosa che in qualche modo gli impediva di correr via.
Beh, la lezione durò circa un'ora, forse due, ma ad arcobaleno parve un'eternità:è dura quando si è cuccioli.
In fin dei conti lui non aveva che sette mesi, e a sette mesi si fanno un mucchio di corse.
Insomma si mise a osservare gli altri cani in addestramento e vide che poco per volta imparavano a star seduti.
Certo, imparavano poco per volta a mettersi distesi e a rigirarsi.
Imparavano a camminare accanto ai loro padroni.
Naturalmente, veniva poi il momento di togliergli il guinzaglio e di lasciarli giocare nel parco in piena libertà, liberi e a loro agio, orecchie e code al vento, abbaiando in allegria.
Giorno dopo giorno continuava il corso con le istruzioni, e questo cagnolino, questo Arcobaleno, voleva sempre scorrazzare.
Poi tutto a un tratto, inaspettatamente, senza che nessuno si accorgesse né come né quando fosse successo, Arcobaleno stupì se stesso!Ed è bello restare stupiti.
Avvertì qualcosa di diverso.
Non faceva altro che sentire le parole che richiamavano facilmente la sua attenzione: "Fermo", "Seduto", e si fermava immediatamente!
Quando lo faceva, riceveva in ricompensa una deliziosa galletta per cani.
Come un biscotto speciale, il biscotto preferito.
E' bello sentire scrocchiare sotto i denti il biscotto o la galletta preferiti, e ad Arcobaleno questo suono piaceva immensamente.
A modo suo era capace di fare cose meravigliose di ogni genere con quel biscotto:masticarlo, scaraventarlo qua e là, lanciarlo in aria.
Faceva di tutto.
Ma imparava soprattutto che si può essere ricompensati per il solo fatto di fare attenzione.
E ricevere delle ricompense è proprio bello.
Possiamo guardare Arcobaleno e rallegrarci alla vista dei suoi colori così bene assortiti;di ciascuno separatamente e di tutti insieme Sicuro.
Potresti meravigliarti di moltissime cose, proprio ora.
Una parte di te sa quanto è bello immaginarsi questo cagnolino Arcobaleno e sentir raccontare le sue avventure: come imparava a fare tantissime cose, a stare seduto, a stare fermo, a rigirarsi e a ridersela di nuovo di se stesso;come si divertiva immensamente a giocare.
Ora questa storia può avere per te moltissimi significati e c'è una parte che potrebbe piacerti in modo particolare.
Una parte preferita.
Sicuro.
Se ci ripensi, puoi proprio cominciare ad avere la sensazione di come sarebbe straordinario vedere il cucciolo Arcobaleno, ricordarti che è facilissimo FERMARSI,
dare uno sguardo intorno e rallegrarsi di quello che si sta facendo.
Proprio così.
Potrai goderti qualunque parte della storia, quella che vorrai:c'è tantissimo da imparare, tante cose piacevoli e divertenti, mentre continui a giocare.
Risate e arcobaleni di colori, che ti daranno la certezza di sentirti bene nell'intimo.
Il paese delle pagine ferme
C'era una volta tanto e tanto tempo fa, così tanto che con il calendario degli uomini non si può proprio misurare, un piccolo paese che stava sospeso a mezz'aria,
fra la terra e il cielo, come di solito fanno le nuvole quando viaggiano intorno alla terra.
Solo che questo paese, al contrario delle nuvole, era sempre fermo e guardava indifferente la terra che invece gli girava sotto nel suo instancabile viaggio del giorno
e della notte intorno a sè stessa e del susseguirsi delle stagioni intorno al sole.
Era proprio un paese del tutto particolare, che dal punto di vista del tempo con i ritmi della terra aveva ben poco da spartire.
C'erano un re e una regina, un principino e una principessina, tutti molto contenti di governare dei sudditi molto contenti di essere governati e così via.
Il castello reale stava sospeso un pò più in alto del paese, con una scalinata d'aria che portava dalla piazza principale fino al suo ingresso e con una splendida
balaustra riccamente cesellata, fatta anch'essa d'aria pregiata non inquinata.
E davanti all'ingresso c'erano sempre quattro guardie in alta uniforme che accoglievano i visitatori.
Il luogo più frequentato di tutto il regno non era però il castello del re, ma la piazza principale dove sorgeva uno strano edificio anch'esso a mezz'aria come tutte
le costruzioni di quel luogo.
Era la biblioteca del paese, anch'essa un pò strana perchè non aveva niente a che fare con quelle degli altri paesi di questo mondo,
cioè non racchiudeva i libri che erano stati scritti, ma quelli delle vite che si scrivevano in quel momento, in qualsiasi parte del mondo che girava sotto.
C'erano tantissime sale, una per i libri appena iniziati, una per quelli che erano a metà, una per quelli che stavano per finire e così via, tutti regolarmente
arrivati dalla Terra con carichi postali che in quel paese funzionavano per davvero.
Ma fra tutte le sale sterminate che si susseguivano in quella biblioteca,
la più strana era quella dove stavano i libri che a un certo punto avevano smesso di scorrere si erano fermati su una pagina che non riuscivano mai a girare.
Era la sala d'attesa per voltare pagina nella vita e i libri che riuscivano a farlo passavano da lì a un'altra sala quella dove si chiudevano i capitoli,
dopodichè erano pronti per essere completati, come tutti i libri che si rispettino, da che mondo è mondo.
Ma da un pò di tempo a questa parte, nell'epoca di cui si parla, succedeva una cosa strana in quella biblioteca ed era che la sala dei libri che attendevano di
voltare pagina diventava sempre più piena e affollata e dall'ufficio postale del paese interi carri anche loro fatti d'aria non facevano altro che scaricare i volumi
fermi su una pagina che arrivavano dalla Terra.
Il Gran Consiglio dei Vecchi andò dal re di quel paese a discutere il problema.
"Non ce la facciamo più ad andare avanti così, sire" disse un vecchio "e non sappiamo come fare per quelli che arriveranno col prossimo carico postale"
"Non si possono portare i libri più vecchi nella sala dei capitoli che si chiudono in modo da fare altro spazio?"
chiese allora il re che era una persona pratica e di buon senso.
"Ci abbiamo provato, sire, ma non è servito a nulla.
I libri vanno avanti, è vero, e i capitoli si chiudono, ma le pagine che vengono voltate restano tutte bianche, non ci troviamo scritto niente,
oppure vengono scritte delle cose quotidiane poco importanti e così banali che non hanno niente a che fare con il libro della vita"
"ohibò" fece il re grattandosi la zucca, il che era sempre segno di pensieri molto elevati.
"Eppure la vita che gli uomini vivono è quella quotidiana, del giorno dopo giorno, non quella delle pagine prima o di quelle dopo.
Com'è possibile che se ne dimentichino e la rendano così banale e poco importante?"
"Io ci ho pensato a lungo" rispose allora un altro vecchio "ma non ho trovato la spiegazione giusta.
So solo che nei libri che ho letto con cura ho osservato spesso una cosa che si ripete""Che cosa ?"chiesero allora gli altri incuriositi.
"Mi sembra" continuò il vecchio "che sia sopratutto in due casi che le pagine dei libri della vita facciano fatica a voltarsi.
Un caso più raro, è quello in cui su quella pagina è stato scritto qualcosa che piace così tanto oppure che il ricordo fa diventare così bello che poi non si ha
il coraggio di voltar pagina per paura di non trovare più scritte cose simili.
Questo però mi sembra meno frequente come caso.
Credo che invece capiti più spesso quello in cui non si volta pagina perchè non piace per niente quello che c'è su quel foglio,
come se ci fossero o un vuoto da riempire oppure delle cose già scritte che si vogliono cambiare.
Mi pare che sia questo il caso più difficile.
"
"Ma quando gli uomini si fermano su una pagina, ne conoscono il motivo?"
chiese allora il re che, come spesso succede a quelli abituati a governare, faceva un pò fatica a rinunciare al proprio pensiero per ascoltare quello degli altri.
"Io non credo che lo sappiano, sire, almeno nei pensieri abituali che hanno ogni giorno, però questo non cambia la cosa"
"Secondo voi" disse allora una vecchia che fino ad allora era stata zitta "perchè certi libri riescono a voltare pagina e alti no?"
"Forse perchè è più difficile voltar pagina lasciando un vuoto da riempire o delle cose scritte che non piacciono.
Soltanto che gli uomini di solito non se ne accorgono perchè non dedicano del tempo a rileggerei loro libri.
E, inoltre per potersene accorgere, bisognerebbe leggerli con occhi nuovi, non con quelli che uno è abituato a usare da sempre"
Fu allora che la vecchia ebbe un'idea geniale.
"Proviamo a prendere un qualsiasi libro fermo su una pagina "disse allora"e scendiamo sulla terra per vedere cosa succede alla persona che lo sta scrivendo,
così forse riusciremo a scoprire come fare"Un gruppo di vecchi lanciò allora per aria una monetina, prese un libro a caso, lo aprì e scese sulla Terra per
cercare la persona che lo stava scrivendo in quel momento.
E pochè i vecchi erano abituati a vivere sospesi ed erano anche loro fatti d'aria pura
e trasparente, quando arrivarono sulla Terra non ci fu nessuna difficoltà e nessun uomo li notò.
Si sparpagliarono e cercarono con cura e a lungo finchè un giorno, finalmente, dopo tanta ricerca, incontrarono la persona che stava scrivendo quel libro.
Era un ragazzo di poco più di vent'anni che doveva girare una pagina importante nella vita.
"Chissà come è contento"pensavano allora i vecchi"beato lui che ha vent'anni e tutta una vita davanti!"
Ma quando lo guardarono in viso e ascoltarono i suoi pensieri, stupiti e commossi, si resero conto che non era proprio così.
"Chi sono io ?"continuava a pensare il ragazzo fra sè"
Chi me lo sa dire? Sono il bravo ragazzo che ha detto sempre sì ed è stato per tutta la vita buono e obbediente per sentirsi amato dagli altri?
Oppure sono il bambino arrabbiato e triste che non aveva nessuno con cui giocare? O quello che quando la mamma era addolorata si sentiva impotente
a scacciare il suo dispiacere nonostante tutti i suoi sforzi? O il bambino che provava una grande ansia ogni volta che sentiva litigare, così grande
che gli sembrava che riempisse tutto il suo piccolo corpo e il suo mondo? O sono il ragazzo ormai grande che non sopporta il minimo contrasto con le persone che contano per lui,
senza il cui amore gli sembra di non poter vivere?Oppure sono la voglia che mi sento dentro di rompere io stesso i legami e abbandonare tutti per non essere abbandonato?"
E mentre questi pensieri gli si accavallavano nella mente il suo cuore era come preso dentro una tempesta di emozioni e di venti che soffiavano da direzioni
diverse ed erano così forti che lui doveva congelarli per non farsene travolgere, cosìcchè il suo viso restava sorridente e impassibile, tranne che per gli occhi che erano tristi e seri.
I vecchi del paese a mezz'aria si guardarono stupiti.
"Finalmente capiamo perchè non si riesce a girar pagina !"disse infine uno di loro" é quando ci sono ancora troppe cose da vivere in quella precedente.
Ha proprio ragione lui, è difficile girare pagina con tutte queste tempeste emotive dentro.
Bisogna che si calmino un pò, prima.
"E fu così che i vecchi tornarono al loro paese per pensare, ascoltare e ricordare bene le loro stesse tempeste emotive di quando erano giovani, perchè avevano
tutti provato molta simpatia nei confronti del dolore e della rabbia, della fragilità e della gelosia, della dolcezza e del rancore, della tenerezza e della pena
che c'erano nel cuore del ragazzo, anche se da fuori non si vedevano per niente perchè erano molto ben nascosti.
E fu pure così che alla fine decisero che la cosa migliore che potessero fare era che uno di loro, quello che era stato più intenerito e meglio capiva il ragazzo in tempesta,
perchè le stesse cose erano successe anche a lui da giovane, scendesse sul mondo per accompagnarlo senza esere visto nel cammino di rileggere con occhi nuovi,
ogni notte in sogno, il libro della sua vita fino ad allora, per riuscire finalmente a girare pagina.
E così notte dopo notte, il vecchio accompagnò il ragazzo nei suoi sogni con l'attenzione, il rispetto e l'amore che gli erano necessari e lui potè cominciare a
rileggere con occhi nuovi e con meno paura il proprio libro, che fino ad allora aveva accuratamente evitato per non incontrare di nuovo il dolore di certe pagine.
E i sogni gli insegnarono ad ascoltare le sue emozioni, a riconocerle e a dar loro un nome, invece di inseguirle sempre negli altri per paura di restarne senza.
E quando il ragazzo le ebbe finalmente riconosciute non si sentì più solo come prima, quando gli sembrava di avere un gran vuoto dentro.
E a poco a poco anche lui imparò a prendersi cura del bambino tenero, dolce, impaurito, spaventato e arrabbiato col mondo che si portava dentro da tanto tempo
senza riuscire ad aiutarlo, esattamente come il vecchio si prendeva cura di lui, anche nei momenti in cui rileggevano insieme le pagine più dolorose della sua storia.
E così goirno dopo giorno, notte dopo notte, stagione dopo stagione, anno dopo anno, anche il ragazzo delle tempeste riuscì a rileggere ilproprio libro fino a quel momento e la
cosa fu così naturale che si accorse di aver voltato finalmente pagina solo un giorno per caso, quando ormai ci aveva già scritto tante cose nuove senza saperlo.
E allora il vecchio del paese a mezz'aria potè finalmente tornare a casa.
Sapeva d'essere stato tanto vicino al ragazzo per tutto il tempo che ormai era sicuro che gli
avrebbe fatto compagnia nel cuore per tutta la vita, sopratutto nei momenti difficili.
E così, quando il Grande Consiglio del Regno di Mezz'aria si riunì,
fu deciso che questo poteva essere un buon modo per aiutare i libri fermi ad andare avanti e i vecchi del paese si sparsero per il mondo ad accompagnare nei loro
sogni gli scrittori immobili su una pagina, per aiutarli a rileggere con occhi nuovi le loro storie e andare avanti.
E per ogni libro che riusciva a proseguire c'era una persona in più che in questo mondo aveva sperimentato come il ragazzo della nostra storia, l'attenzione,
l'amore e il rispetto per le ferite del cuore di un bambino da poterli a sua volta avere con quelli che incontrava sulla sua strada.
E si sa che le cose sperimentate diventano come l'erba di primavera, dopo un filo ne nasce un altro e un altro ancora e tanti fili messi insieme fanno i mari d'erba
che ondeggiano nel vento.
Però bisogna che ognuno si prenda cura dei fili che incontra sulla sua strada perchè le ferite del cuore di un bambino non restino dentro a fargli male anche
da grande e perchè anche lui possa a sua volta aver cura dei fili d'erba che incontrerà nella sua vita.
Il gabbiano che giocava col vento
Fra le storie che si raccontavano al tramonto alla Scuola del Mare ci fu una volta anche quella del gabbiano giocherellone:
in effetti non era una storia di mare, ma di vento, di quelle scritte sulle onde quando si rincorrevano fra loro.
C'era una volta un gabbiano che amava molto vedere le cose dall'alto.
Tutta la sua giornata era fatta di saliscendi.
Saliva verso le nuvole per godersi lo spettacolo e poi scendeva verso il mare in veloci picchiate e si posava sopra le onde per farsi cullare dolcemente.
E poi di nuovo su nel cielo, a salire e scendere di nuvola in nuvola.
Ma la cosa che il gabbiano amava più di tutto erano le giornate di vento, di quello che ogni tanto soffia sul mare e si diverte a formare i mulinelli nell'acqua e nell'aria.
Appena il vento giusto arrivava, ecco che il gabbiano si levava in volo per cercare il punto più tempestoso e quando lo trovava si metteva ad ali spiegate e si lasciava andare fiducioso.
Allora il vento, che lo conosceva bene, lo prendeva su di sé e iniziava a giocare.
Prima lo sosteneva, poi lo lasciava cadere un po', poi lo riprendeva di nuovo e lo sollevava più in alto, poi gli faceva fare una giro di danza e lui era proprio molto felice.
Il gabbiano aveva fiducia nel vento e il vento non tradiva la sua fiducia.
E così questo rapporto fatto di fiducia andò avanti per molto tempo, con grande soddisfazione di entrambi.
Finchè capitò una giornata in cui il vento si era alzato con un gran mal di testa.
Quel giorno era preoccupato perché aveva tante cose da fare ed era proprio arrabbiato col mondo e, avendo poca voglia di pensare agli altri, anche un po' distratto.
Ma il gabbiano non si accorse di niente, essendo anche lui preso dai suoi pensieri, e fu così che quando si lasciò andare fiducioso nei suoi mulinelli il vento fu meno
pronto del solito a farlo risalire prima che cadesse e il povero gabbiano andò a sbattere contro una roccia e si ferì a un'ala, esattamente nel punto che gli
faceva ancora male per una vecchia ferita.
In realtà questa cosa gli era successa tante altre volte e non era poi così grave, ma non gli era mai successa col vento e questo lo spaventò e lo offese moltissimo.
Il gabbiano si allontanò dal mare con la sua ala ferita e volò, volò, volò più lontano che potè, finchè arrivò a una città che non conosceva il mare perché era completamente
circondata dalla terra e lì si fermò.
Vide degli altri uccelli grandi come lui e che gli somigliavano, ma non fece amicizia, si nascose in un angolo e rimase sempre da solo.
Ormai il gabbiano non si fidava più degli altri e così visse per tanto tempo solitario e pieno di paure.
Intanto il vento giocherellone, che non si era accorto di come il gabbiano si fosse fatto male, continuava ad aspettarlo per giocare con lui.
Ma i giorni passavano e lui non tornava mai, anzi, se n'era persa ogni traccia.
Allora il vento, che aveva nostalgia del suo gabbiano, cominciò a cercarlo, prime su tutto il mare e poi anche sulla terra;e gli uomini che non conoscevano questa storia
pensavano che doveva essere proprio cambiato il clima, se un vento di mare soffiava così forte anche dove prima non si faceva mai sentire.
Passò così tanto tempo e il vento continuava a cercare il suo gabbiano e lui a nascondersi ogni volta che lo sentiva arrivare da lontano, alla sua ricerca.
Però tutti e due si sentivano molto soli e rimpiangevano i giochi di quando erano amici.
Andò a finire che poco a poco il vento si scoraggiò e pensò che non avrebbe più trovato
il suo gabbiano.
E allora si immalinconì tanto che cominciò a uscire sempre meno di casa e poi a non uscire più del tutto.
E quando questo successe, tutto si fermò.
Le nuvole stavano ferme nel cielo perché non c'era più nessuno che le spingesse, il mare era immobile, le vele
si afflosciavano senza vita e i semi dei nuovi fiori erano ammucchiati tutti insieme perché nessuno li spandeva più nell'aria per preparare i fiori della primavera seguente.
E allora la terra e il mare si impensierirono e decisero di fare qualcosa, ma era difficile sapere che cosa esattamente.
Finchè un giorno la terra, che aveva buona memoria e un grande cuore, si ricordò della scena del gabbiano che giocava col vento e pensò che forse il vento era triste
per questo ricordo e ne parlò col mare.
"Potremmo provare a farli incontrare di nuovo perché si spieghino le cose e si ritrovino
"disse infine il mare"ma mi chiedo se sia questa la soluzione"aggiunse pensieroso.
"Me lo chiedo anch'io" rispose la terra "perché se questo è successo vuol dire che c'è qualcosa dentro di loro che l'ha provocato e che continua a restare dentro".
"è vero"rispose il mare"allora se questo qualcosa non cambia è inutile farli incontrare, perché l'episodio potrebbe ripetersi in qualsiasi altro momento della giornata e della vita.
Chissà quante altre volte il vento si potrà alzare col mal di testa e il gabbiano si potrà graffiare l'ala proprio nel punto che gli fa più male "E così pensa e ripensa,
la terra e il mare decisero di chiamare a raccolta gli uccelli e li incaricarono di prendere nel becco un seme ciascuno, fra quelli tutti ammucchiati insieme, per trasportarli
lontani come prima faceva il vento, affinché nascessero nuove piante e nuovi fiori.
Gli uccelli iniziarono un lungo lavoro che durò giorni e giorni e lo fecero con tutta la cura
che ci poterono mettere.
Ma per quanto si sforzassero, era proprio difficile trovare il posto giusto per ogni seme perché loro non conoscevano le strade del vento.
Fu così che la primavera successiva, quando le nuove piantine cominciarono a nascere, capitarono le cose più strane.
Anzi sembrava proprio una babilonia.
Per quanto gli uccelli si fossero sforzati, quasi nessun fiore era al posto giusto.
Allora la terra andò a svegliare il vento, che sonnecchiava intristito nella sua casa, e lo invitò a fare un giretto per il mondo.
Lui si lasciò convincere, per una sola volta, ma quando fu fuori rimase sbalordito da ciò che era successo.
"Ma questi fiori son tutti al posto sbagliato!"disse sorpreso alla terra.
"Perché è successo questo?"
"Perché sei tu e non gli uccelli che conosce le strade per trasportarli, " rispose la terra "cosicché loro hanno fatto ciò che hanno potuto"
Fu allora che il vento si rese conto di una cosa che prima non sapeva ed era che la vita aveva proprio bisogno anche di lui e delle sue strade.
E fu pure così che il vento decise di tornare nel mondo perché i fiori non soffrissero più nascendo nel luogo sbagliato e perché sentiva che anche per lui quello era il suo posto.
E quando tornò a fare il suo antico mestiere si accorse che era molto più bello viaggiare per la terra e per il mare piuttosto che restare intristito
in casa in compagnia di un solo pensiero, sempre uguale e identico a se stesso, giorno dopo giorno.
Nel frattempo sulla terraferma, là vicino alla città, anche il gabbiano si era accorto dell'ordine rovesciato delle piante e dei fiori e anche lui era rimasto stupito della cosa.
Anzi, cominciava a capire che diventava difficile anche per gli animali vivere e trovare da nutrirsi, con tutte le piante al posto sbagliato.
E anche lui scoprì che, se anche era triste, aveva ancora voglia di respirare e di nutrirsi e di vedere le piante giuste al posto giusto.
E poi c'era anche un'altra voglia che da un po' di tempo gli stava venendo ed era quella di tornare ad avere nella sua testa dei pensieri diversi che gli facessero compagnia e
non sempre lo stesso pensiero, uguale , monotono, identico a se stesso.
Un po' come era successo al vento.
E allora si ricordò che ai tempi dei vecchi giochi i pensieri della sua testa facevano risuonare delle cose dentro di lui che gli piacevano, mentre ora gli sembrava che non ci fossero più.
Eppure lui sapeva di averle ancora, sepolte chissà dove, mentre adesso era come se risuonasse sempre e solo la stessa corda, monotona e grigia.
Il povero gabbiano era come un musicista che aveva dentro una musica da suonare, ma non trovava più lo strumento che gli serviva.
Finchè un giorno anche lui decise di partire per ritrovare il suo strumento.
Sapeva che l'avrebbe trovato al paese del mare e del vento e questo lo intimidiva un po'.
Ma mentre volava ecco che arrivò il suo vento che gli diede un tuffo al cuore, ma lui non lo riconobbe, tanto il gabbiano era intristito e immalinconito.
E quando il vento vide questo gabbiano che avanzava timoroso perché aveva una vecchia ferita, lo prese gentilmente sulle sue ali e lo portò verso il mare per farlo respirare meglio che là, sulla terra lontana.
E allora sul mare il vento si mise a giocare scherzoso e il gabbiano stette a guardarlo muto.
Poi, piano piano, gli si avvicinò di nuovo e gli chiese di portarlo su una nuvola.
E quando lui lo portò, il gabbiano si lasciò andare ai vecchi giochi e il vento, stupito e commosso, lo riconobbe.
E fu così che i due antichi amici si ritrovarono e ripresero a incontrarsi per giocare, loro col mondo e il mondo con loro.
E quando ciò avvenne, la terra e il mare si guardarono soddisfatti.
Anche dalle vecchie ferite può nascere sempre qualcosa; in fin dei conti anche nella terra bisogna scavare un solco perché un seme possa crescere.
E nessuno, proprio nessuno, può impedire all'erba di crescere a primavera, anche fra i sassi e i rovi, persino fra le tegole sui tetti delle case degli uomini.
E qui finisce la storia del gabbiano che giocava col vento, ma il vento e i gabbiani continuano ancora a giocare ...